Buzzati racconta
Storie disegnate e dipinte
dal 15 novembre 2006 al 28 gennaio 2007
dal 15 novembre 2006 al 28 gennaio 2007
ROTONDA DI VIA BESANA - Via Enrico Besana, 12 - 20122 Milano
Descrizione
Come è come pittore Buzzati? Lo scrittore lo conosciamo tutti, si legge nelle scuole, i suoi racconti sono pieni di curiosità al punto tale che la sua visione è assimilabile a quella di Kafka con la sensazione di un incubo che investe le persone e corrisponde allo spirito della città di Milano. Un incubo che non è angoscioso come quello di Kafka, dal quale sappiamo che non c’è via d’uscita. L’incubo di Buzzati è come un labirinto da cui qualcuno può uscire: può, per esempio, uscirne Almerina. Una possibilità di fuga che non c’è nel Processo o nella Metamorfosi. Ma le visioni sono molto simili. Il tema qui è cosa sia la sua opera di pittore. Il giudizio è complicato perché la via di uscita per Buzzati pittore è considerarlo un dilettante che dipinge.Il titolo di una raccolta di saggi del grande scrittore Massimo Bontempelli, uno dei fondatori del movimento Novecento, ci fa entrare, come una chiave, nell’interpretazione che intendo dare dell’opera di Buzzati.
Il libro di critiche d’arte di Bontempelli si intitola Appassionata incompetenza, come dire esattamente quello che ha fatto come critico d’arte Buzzati: incompetente rispetto allo specifico della storia dell’arte, e però appassionato; e la passione l’ha portato a vedere più di un competente. Ho avuto un’illuminazione leggendo che Bontempelli sentiva simili Morandi e Petrarca. È un accostamento originale ma convincente perché Petrarca è l’autore di un canzoniere, sul tema esclusivo dell’amore per Laura, con una costruzione che non prevede racconto ma emozioni che vengono sempre da un solo pensiero; ebbene, una costante attitudine è quella che troviamo anche nelle nature morte di Morandi: tante variazioni su un soggetto che è sempre lo stesso. L’incompetente ha avuto un’intuizione che probabilmente un competente non avrebbe avuto. Se questo vale per lo scrittore che diventa critico, si può anche affermare che chi ha il mestiere di scrittore e la passione di pittore può essere compreso perché lo si guarda come uno scrittore che dipinge, e quello che sentiamo come un limite è anzi una ragione di fascino. Montale ha fatto quadri da cui si intende che non è pittore: ma è Montale. Anche Victor Hugo ha dipinto densi acquarelli; ma li guardiamo perché sono belli o perché sono di Victor Hugo e quindi ci dicono qualcosa di più?
William Blake, un meraviglioso poeta, è stato un altrettanto grande pittore ma guardiamo le sue opere perché era un grande poeta o perché era un grande pittore? In ogni caso abbiamo raggiunto il centro del problema. William Blake è un visionario. Il visionario è più forte del poeta e del pittore e quindi domina le due forme in cui si esprime la sua visione. Nel caso di Buzzati non possiamo dire, come per Victor Hugo, che è un poeta che dipinge; ma dobbiamo dire che è un visionario che vede con la parola, e che vede con l’immagine, esattamente come William Blake. È proprio la chiave per capire William Blake: quando ne guardiamo i disegni sappiamo che è un grande poeta, ma le sue visioni sono talmente forti che lo guardiamo soltanto come l’artista che in quel momento dipinge. Allo stesso modo, davanti a un dipinto di Buzzati, non si pensa che sia soltanto la curiosità amatoriale di uno che si diverte a dipingere; mentre altri scrittori, come Vergani e Montale, sono “prestati” alla pittura, Buzzati è come se avesse attive due mani, una per scrivere e una per dipingere.
Mentre quella per scrivere raggiunge la perfezione di uno scrittore finito, quella per dipingere possiamo giudicarla non la mano di un grande pittore, ma è certamente necessaria per capire la letteratura, lo strumento da cui Buzzati fa uscire i sogni e le visioni per i quali la letteratura è insufficiente e con cui la letteratura si integra e si spiega.
È come se la pittura fosse un’annotazione alla sua letteratura.
In questo senso allora l’unità della visione determina la varietà dell’espressione. Raro è il caso nella storia dell’arte di un artista e di un visionario. Il visionario prevede l’eccezione, non ha bisogno di regole di grammatica, soprattutto della grammatica della pittura. Esattamente come William Blake, il Buzzati visionario utilizza due mezzi espressivi per focalizzare ancor più la propria visione: sintetizza in una opera, Piazza del Duomo di Milano, la città dove è vissuto e dove si è trovato come in una foresta di cemento, e i luoghi, le foreste e le montagne dove era nato e dove però aveva minori occasioni di tornare. Forse oggi, con internet, si potrebbe essere scrittore anche nel punto più remoto del mondo ma Buzzati invece voleva stare a Milano: in quegli anni il giornalismo e la vita moderna avevano una sede naturale, non c’era la possibilità di colmare la distanza continuando a lavorare in periferia. Buzzati ha messo insieme questi mondi, la visione del cielo dai luoghi in cui è nato e la vertiginosa architettura dalla città dove è vissuto: la fusione tra vette, forme delle montagne, alberi, bosco e duomo di Milano è una creazione assolutamente originale e rientra in quella fattispecie della pittura di sogno che ha avuto a Parigi una sua capitale naturale e che ha determinato il Surrealismo. Possiamo dunque definire Buzzati un surrealista, un surrealista fortemente letterario, che ha il piacere della contaminazione, e che gioca con il fumetto e con il racconto, un surrealista che si contagia con la Pop Art, con Allen Jones, con Andy Warhol di cui diventa amico. La prima grande mostra della Pop Art in Italia è alla Biennale di Venezia del 1962; Buzzati incrocia la pittura del suo amico Carlo Guarienti con la Pop Art in un atteggiamento dissacratorio che evita ogni stravaganza, alla Salvador Dalì, e dialoga con Roy Lichtenstein e Andy Warhol. Ne deriva una produzione così originale ma anche così facile; la seduzione di Buzzati è che ne intendi il dramma, l’angoscia e il tentativo di fuga anche attraverso la letteratura. Osservando Magritte – che è quello tra i surrealisti che più gli assomiglia – avverti l’equivoco o l’ambiguità di chi vuole essere filosofo. Magritte ogni volta che dipinge illustra un concetto – o un rebus – pur con una pittura molto facile e corsiva. Buzzati invece esprime incubi, bisogni e sogni, anche nostalgie. Egli è narratore anche con le immagini.
Racconta storie dipingendo, così come scrivendo dipinge sogni: vediamo allora immagini, come la fortezza nel Deserto dei Tartari, dipinte con la parola, come leggiamo storie nella pittura.
Ecco come le due interpretazioni si incrociano e, nella luce della visione, si determina una unità assoluta del lavoro prevalente di scrittore e del piacere prevalente di pittore.
Vittorio Sgarbi
Assessore alla Cultura del Comune di Milano
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